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di Leonardo Ponti

La continua crescita della popolazione mondiale e la naturale aspirazione dei paesi in via di sviluppo a raggiungere standard economici e di qualità della vita vicini a quelli dei paesi industrializzati sono le principali cause della crescita inarrestabile della domanda di energia che provoca un inevitabile aumento delle emissioni di gas serra, prima fra tutte l’anidride carbonica. Soddisfare tale domanda, mantenendo questi gas a livelli non pericolosi per l’ambiente e riducendo così il rischio di cambiamenti climatici nel medio termine (oltre che, naturalmente, garantire l’approvvigionamento energetico) rappresenta la sfida tecnologica del nuovo secolo. A conferma di quanto appena detto, il parlamento europeo, ha approvato nel dicembre del 2008 il pacchetto “clima-energia”, meglio conosciuto come “strategia 20-20-20”. Attualmente la quota di energie rinnovabili sul consumo totale di energia in Italia è pari al 5,2%, mentre la direttiva ha fissato l’obiettivo nazionale a quota 17% assieme ad una riduzione di emissioni di anidride carbonica del 13% rispetto ai valori del 2005.

• L’Unione Europea potrà dunque vincere questa sfida solo con l’aumento dell’efficienza dei sistemi e la contemporanea riduzione del consumo di idrocarburi; con l’espansione dell’impiego di fonti a basso o nullo contenuto di carbonio quali gas naturale, rinnovabili, nucleare; con la separazione della CO2, prodotta nella trasformazione dei combustibili fossili e il confinamento della stessa; con l’aumento, infine, del potenziale di assorbimento della stessa CO2 da parte dell’ecosistema.

Tutto questo scenario dovrebbe essere basato idealmente, su un vettore energetico ad impatto ambientale, sia globale che locale, quasi nullo; producibile da più fonti energetiche primarie, tra loro intercambiabili e disponibili su larga scala, anche in futuro; distribuibile preferenzialmente attraverso una rete.
L’idrogeno è un vettore energetico che può essere prodotto da tutte le fonti energetiche primarie. Oggi nel mondo sono prodotti circa 500 miliardi di Nm3 (Normal Metro Cubo. Unità di misura del volume usato per i gas in condizioni “normali”, ossia alla pressione atmosferica e alla temperatura di 0 °C) di H2, cioè circa 45 milioni di tonnellate. Dal momento che l‘idrogeno non è disponibile allo stato libero in natura, se non in quantità molto ridotta, è considerato solamente un vettore energetico e deve essere prodotto a partire da altri composti con processi che richiedono energia. Deve quindi essere chiaro che parlare di economia dell’idrogeno significa comunque affrontare non solo le problematiche relative all’individuazione dell’utilizzo ottimale dell’idrogeno (sia dal punto di vista tecnico che da quello economico), ma anche della sua produzione e dell’impatto ambientale connesso a tale attività.

L’idrogeno, oltre che dalle fonti fossili le cui tecnologie sono ormai mature ed ampiamente utilizzate, può essere prodotto da fonti rinnovabili quali Acqua, Biomasse, Sole e Vento.
L’idrogeno prodotto dall’acqua è ottenuto attraverso la scissione della molecola di questa nei suoi componenti attraverso diversi processi. Tra questi, l’elettrolisi è l’unico di rilevanza pratica, oggi e possibilmente anche domani. L’elettrolisi, nella sua forma convenzionale, è usata da oltre 80 anni per produrre idrogeno per il mercato. Si tratta di un processo caratterizzato da trasformazioni chimiche grazie all’apporto di energia elettrica, mediante il quale si ottiene conversione dell’energia elettrica in energia chimica. In una soluzione acquosa, in cui si trova un elettrolita (acido, base, o sale ad elevato prodotto ionico di dissociazione), si ha il passaggio di corrente elettrica che libera idrogeno al catodo ed ossigeno all’anodo a spese, quindi, esclusivamente delle molecole di acqua. Questo metodo non comporta alcuna emissione di ossidi di carbonio nel luogo di produzione, allo stesso tempo però risulta avere dei costi molto superiori ad altri metodi. Supponendo che sia disponibile una quantità di energia elettrica “pulita” in grado di alimentare il processo di elettrolisi e considerando il fatto che le grandi distese oceaniche altro non sono che enormi riserve di idrogeno, si può ipotizzare che, tramite questo tipo di processo, sarebbe possibile estrarre tutto l’idrogeno necessario a soddisfare in modo pulito le esigenze energetiche dell’umanità: ogni kg di acqua pura contiene 111 g di idrogeno che, una volta bruciato, potrebbe produrre 3200 chilocalorie di energia termica. (D. Chiaramonti).

Per quanto riguarda le biomasse, quest’ultime sono considerate, sia dal punto di vista economico che della disponibilità di tecnologie, tra le fonti rinnovabili più vicine ed idonee alla produzione sostenibile di idrogeno. Innanzitutto è importante chiarire che, attualmente, non si hanno dati di progetti di dimostrazione effettivamente completati o comunque con un numero di ore di funzionamento che ci permettano di trarre conclusioni di lungo periodo. E’ certo però che, le attività di ricerca sia nell’Unione Europea che negli Stati Uniti e Giappone, si stiano rapidamente moltiplicando e le risorse destinate a tale scopo siano sempre più consistenti.Va sottolineato inoltre che, a causa dell’elevato contenuto in ossigeno (40% circa), il contenuto di idrogeno nella risorsa (biomassa) iniziale sia modesto (intorno al 6%) come anche il suo contenuto energetico.

Nonostante questo però l’efficienza di conversione energetica è piuttosto elevata (fino al 56% per steam- reforming di oli di pirolisi). Si distinguono due grandi classi di processi di conversione della biomassa in idrogeno:

• conversione di tipo biologico;
• conversione di tipo termochimico.

Al primo gruppo fanno parte processi quali la digestione anaerobica, la fermentazione ed i processi metabolici (come i processi fotobiologici); per quanto riguarda la via termochimica ci sono principalmente i processi di gassificazione e pirolisi. (D. Chiaramonti).
La Gassificazione della biomassa, seguita da un processo di pulizia del gas ottenuto, è ad oggi il sistema più studiato per la produzione di idrogeno da questa risorsa. Per gassificazione si intende l’ossidazione incompleta di una sostanza in ambiente ad elevata temperatura (800÷1000 °C) per la produzione di un gas combustibile detto syngas o gas di gasogeno, ossia una miscela di CO,CO2, CH4, H2 e vapor d’ acqua. Il “syngas” ottenuto viene prima sottoposto ad una fase di pulizia (gas-cleaning), poi per aumentare la quantità di idrogeno ottenibile, si effettua un “reforming”, reazione a caldo degli idrocarburi (CH4) con vapore, in modo da ossidare il carbonio e liberare idrogeno dalla molecola.

Gassificatori
Tipologie di gassificatori

La biomassa utilizzata in questo tipo di processo è di tipo lignocellulosica e comprende tutte le specie vegetali, erbacee ed arboree, la cui struttura è costituita da lignina e da cellulosa, carboidrati presenti come catene polimeriche ad elevata lunghezza. In base alla loro provenienza le biomasse lignocellulosiche si differenziano in:

• sottoprodotti agricoli, agroindustriali e forestali recuperati per scopo energetico;
• piantagioni di biomasse dedicate alla produzione energetica.

La prima categoria comprende il legname proveniente dalla ceduazione, ovvero dal taglio del patrimonio boschivo, che deve essere raccolto, trasportato e trattato secondo una successione di operazioni che viene stabilita in funzione della produttività e dei costi. Per questo tipo di legname, la resa di sostanza secca si attesta attorno alle 2-4 t/ha/anno.
Fa parte della solita categoria materiale proveniente dal recupero delle attività forestali (manutenzione programmata del bosco, sfolli, diradamenti, conversioni, ecc.) come cortecce, rami, fogliame e tronchi di dimensioni difformi da quelle richieste; e materiale residuo delle segherie e mobilifici, dove la biomassa di scarto ammonta al 30% di ogni m3 di legna trattato.
Per quanto riguarda la biomassa proveniente da piantagioni dedicate, ci sono le SRF (Short Rotation Forestry), colture arboree particolarmente idonee alla produzione energetica poiché hanno:

• alta densità di piantagione;
• elevata produttività (sino a 15 t/ha/anno di s.s.);
• ceduazione anche ogni 3-4 anni.
• Tra le specie di interesse energetico attualmente impiegate in Italia si ricorda l’Eucalipto, il Pioppo, il Salice e la Robinia.

La quasi totalità delle specie erbacee invece ricade nella classe C4, caratterizzata da elevata efficienza fotosintetica. Queste colture presentano delle rese molto elevate (fino a 35 t/ha/anno), come anche la loro capacità di adattarsi a terreni proibitivi per altre specie. A queste fanno parte colture annuali o poliannuali come sorgo da fibra ed il kenaf, e perenni come il miscanto, la canna comune e il cardo. Infine sono considerati biomassa anche tutti quei residui delle potature e delle raccolte dei sottoprodotti della lavorazione di alcune specie ad uso alimentare: gusci di mandorle, stocco e tutolo di mais, lolla di riso, ecc..

Un altro metodo che si trova al centro di studi ed attività di laboratorio sia in USA che in Europa e in Giappone, riguarda la produzione di idrogeno da olio di pirolisi da biomassa: si tratta di un processo termo-chimico di decomposizione del materiale organico in assenza di un agente ossidante, generalmente ossigeno. Questo avviene tramite l’apporto di calore a temperature tra 400 e 800 °C, che provoca una distillazione e carbonizzazione della biomassa. Una volta che il bio-olio di pirolisi è stato ottenuto, attraverso la solita reazione di reforming possono essere raggiunte produzioni di idrogeno che si attestano all’80% in volume (L.Conti).
Le biomasse oleaginose possono costituire il supporto di base per un processo di produzione di idrogeno a partire dall’olio da esse estratto tramite macinazione in fini fibre dei semi o dei frutti (chiamati impropriamente semi), successivo riscaldamento e spremitura meccanica o trattamento con solvente. Tra le specie di biomasse attualmente impiegate, sia allo stadio sperimentale che commerciale, si annoverano: Colza, Girasole, Lino, Palma, Soia, Ricino, Noce di Cocco, Gusci di noccioline, Cardo ed Olive. Anche in questo caso, l’olio vegetale, presentando un basso grado di ossigenazione, va incontro a processi di “reforming” da cui si ottiene l’idrogeno. Utilizzando olio di girasole è stato possibile ottenere rese in idrogeno tra il 72% e 87%.

Altro settore assai promettente è quello dell’etanolo ottenuto per fermentazione di substrato saccarifero proveniente da colture amidacee (grano, mais, orzo, triticale, sorgo da granella, patata, riso) e saccarifere (barbabietole da zucchero e canna da zucchero). Anche in questo caso, il materiale di partenza (etanolo) subirà trasformazioni e conversioni (reforming) generando idrogeno.
Una delle tecnologie di produzione di idrogeno che si trova ancora ai primissimi stadi della ricerca è basata sui metodi di conversione enzimatica del glucosio e di altri zuccheri. Secondo numerosi studi dell’Università del Wisconsin, glucosio in particolare, ma anche xilosio, lattosio e saccarosio possono essere convertiti in idrogeno grazie all’azione di due batteri ipertermofili: il Thermoplasma Acidophilum ed il Pyrococcus Furiosus, che producono degli enzimi decompositori in grado di convertire gli zuccheri raggiungendo un’efficienza del 50%. Anche l’Escherichia coli, il comune costituente della nostra flora batterica intestinale, è considerato un candidato promettente: grazie alla sua capacità di far andare in decomposizione la materia organica, è stato alimentato con i più comuni rifiuti organici della cucina per produrre idrogeno. Si è visto che basterebbe una fornitura di soli 50 grammi di zucchero per tenere accesa una lampadina da 40 watt per un tempo leggermente inferiore alle 8 ore.

Come abbiamo già analizzato in precedenza, uno dei prodotti di partenza più utilizzati per ottenere idrogeno, è sicuramente il metano, che oltre ad estrarlo come gas naturale, è possibile produrlo:

• Fermentazione della frazione organica dei rifiuti solidi urbani ad opera di microrganismi anaerobi in discariche controllate;
• Digestione anaerobica della sostanza organica contenuta nei liquami bovini e suini.

E’ importante citare anche l’esistenza di progetti ed attività di ricerca che mirano ad integrare diverse fonti di energia rinnovabile con la produzione di idrogeno. Recentemente, l’Università di Oxford assieme al Dipartimento di ingegneria chimica di Toronto, hanno proposto la realizzazione di un impianto dove si produce idrogeno attraverso un processo di “reforming” del glicerolo, dove il calore necessario alla reazione è fornito da una miscela di sali fusi precedentemente riscaldati attraverso energia solare termica. E’ stato scelto il glicerolo, poiché, oltre a possedere un importante potenziale di applicazione come materia prima per combustibili, prodotti chimici e polimeri, costituisce, in quantità considerevoli, un sottoprodotto nella produzione di biodiesel da colture oleaginose e rappresenta circa il 10% in peso di materie grasse animali e vegetali. Con questo processo si riesce ad avere un’efficienza di conversione fino al 90% (P.Azadi).

Una volta prodotto, l’idrogeno, per poter essere utilizzato agevolmente, deve essere opportunamente trasportato o immagazzinato in varie forme. Questa operazione risulta molto delicata e rappresenta, attualmente, uno dei problemi più importanti che devono essere risolti affinché vi sia una transizione ad un’economia basata sull’idrogeno.
Attualmente, lo strumento principale il cui sviluppo condizionerà pesantemente la reale affermazione dell’idrogeno come vettore energetico pulito è rappresentato dalla “Fuel Cell”.

Schema funzionamento della Fuel Cell
Schema di funzionamento della “Fuel Cell”

La cella a combustibile è un dispositivo elettrochimico che converte direttamente l’energia di un combustibile in elettricità e calore senza passare attraverso cicli termici e quindi senza risentire delle limitazioni imposte a questi ultimi dalla termodinamica. In sostanza funziona in modo analogo ad una batteria; a differenza di quest’ ultima, tuttavia, consuma sostanze provenienti dall’esterno ed è quindi in grado di funzionare senza interruzioni, finché al sistema viene fornito combustibile ed ossidante. Da un punto di vista generale, la trattazione realizzata, ci permette di affermare che per trovare una soluzione ai vari problemi legati ad un settore così complesso come quello dell’energia, non può esserci una strada univoca, bensì occorre intraprenderne numerose: prima fra tutte, la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie; un’attenta razionalizzazione dei consumi ed un ovvio incremento dell’utilizzo delle fonti rinnovabili. In questo scenario, il settore dell’agricoltura occupa un posto di assoluta rilevanza.

Questo settore è in grado di contribuire al raggiungimento degli obiettivi nazionali del Pacchetto energia e Clima 20-20-20 in termini di:

• produzione di energia rinnovabile, fornendo gran parte della materia prima per produrla;
• miglioramento dell’efficienza energetica del sistema agro-alimentare e dei processi agricoli;
• riduzione della CO2 emessa.

Sintesi della Tesi di laurea triennale “Bioidrogeno: stato dell’arte sulla produzione da fonti rinnovabili”.
Relatore: Dott. Enrico Palchetti, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Produzioni Agroalimentari e dell’Ambiente della Scuola di Agraria dell’Università degli Studi di Firenze.

Leonardo Ponti, laureato in Scienze Agrarie presso l’ Università degli Studi di Firenze, è attualmente iscritto alla laurea magistrale in Progettazione e gestione degli ecosistemi agro-territoriali, forestali e del paesaggio. E-mail: leonardoponti@hotmail.it

 

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