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Prospettive per una completa tracciabilità del settore


di Mario Pagano


Introduzione


Il controllo della produzione alimentare costituisce un valido strumento sia per garantire i parametri igienico-sanitari imposti dalle norme legislative, sia per soddisfare la sicurezza alimentare richiesta dal consumatore.
Questi due aspetti, trovano un punto d’incontro nelle procedure di “tracciabilità” e ”rintracciabilità” di filiera.
La filiera è definibile come l’insieme di soggetti che contribuiscono alla formazione, distribuzione e commercializzazione di un prodotto.
Esistono più tipologie di filiera e la loro complessità varia in funzione del comparto produttivo nonché del numero di aziende coinvolte.
Per esempio, nel settore ortofrutticolo, non sempre è prevista la trasformazione del prodotto. Dopo la raccolta, infatti, questo può essere inviato ad un ulteriore unità operativa che, dopo una prima cernita, ne stabilisce i tempi e le modalità di immissione sul mercato.
Contrariamente, nel settore zootecnico, è frequente il coinvolgimento di più soggetti, spesso disomogenei tra loro. Per arrivare al prodotto finito, infatti, è necessario coinvolgere mangimifici, allevamenti, macelli e laboratori di sezionamento.
Si può, quindi, concludere, che la filiera è tanto più grande e articolata quanto maggiore è il numero dei soggetti coinvolti prima della distribuzione [1].


“Tracciabilità” e “rintracciabilità” di filiera


La “Tracciabilità” e “rintracciabilità”, spesso confusi come sinonimi, sono in realtà due termini che hanno significati distinti.
Infatti, la “tracciabilità” è un metodo mediante il quale è possibile seguire l’intero percorso produttivo e registrare le informazioni durante tutti i passaggi, mentre la “rintracciabilità” è la possibilità di ripercorrere a ritroso la catena produttiva (per esempio dal prodotto finito alla materia prima) utilizzando le informazioni prodotte dalla “tracciabilità” [1].

L’importanza della rintracciabilità diventa fondamentale nel momento in cui si desidera ritirare dalla filiera un prodotto non conforme, evitando così disagi più estesi.
Dal punto di vista applicativo, la tracciabilità può essere realizzata con innumerevoli mezzi o metodiche. L’uso di cartellini con i quali contrassegnare gli elementi della filiera costituisce, senza dubbio, il metodo più semplice ed antico.
Le crescenti esigenze del moderno mercato agroalimentare, hanno incentivato l’impiego della tecnologia elettronica come riferimento più valido per soddisfare le complesse richieste della tracciabilità. In questo ambito, la tracciabilità elettronica, può permettere il veloce conseguimento dei seguenti obiettivi:


  • Valorizzazione e tutela dei prodotti agro-alimentari a denominazione di origine.
  • Incremento delle informazioni di ciascun prodotto, agevolando un migliore orientamento delle scelte dei consumatori.
  • Sviluppo di mappe georeferenziate ed elettroniche.
  • Automatizzazione dei controlli fitosanitari e della gestione aziendale.
  • Trasferimento e reperimento di informazioni identificative lungo tutta la filiera fino al consumatore finale.
  • Incremento dei sistemi di automazione, di registrazione e certificazione dati.

La tecnologia RFId


L’identificazione di oggetti mediante la tecnologia a radiofrequenze è una metodologia, definita da numerosi autori come “lentamente persuasiva”, che si sta affermando sempre più in molteplici settori d’attività del nostro Paese quali, ad esempio, i trasporti, l’organizzazione dei magazzini e il rilevamento dei parametri ambientali. Attraverso l’impiego di microchips RFId si possono, infatti, identificare univocamente oggetti per le più disparate necessità, garantendone una univoca tracciabilità all’interno di tutta la filiera di produzione.
Il processo di comunicazione tra microprocessore e Reader, afferenti, rispettivamente, al materiale da identificare e all’operatore, avviene senza necessità di contatto fisico.
Il predecessore di questa tecnologia è l’IFF (Identification Friend or Foe) sviluppato in Inghilterra durante la seconda guerra mondiale. Tale tecnologia, installata a bordo degli aerei, consentiva di distinguerli da quelli nemici.
Questo sistema si è evoluto, successivamente alla fine del secondo conflitto mondiale, in molteplici settori, come quello ferroviario, automobilistico e zootecnico. Rispetto ai sistemi tradizionali di identificazione, come i codici a barre, la tecnologia RFId offre i seguenti vantaggi.


  • Invisibilità del chip e possibilità di lettura anche se occultato all’interno di confezioni o prodotti.
  • Lettura contemporanea di più etichette elettroniche.
  • Possibilità di creare un data-base dedicato aggiornando le informazioni nel tempo e tracciare, così, la storia del prodotto [2].

In un sistema RFId vi troviamo i seguenti elementi:
1) TAG (dall’inglese electronic tagging: etichettare elettronicamente): si tratta di un trasponder, cioè di un sistema di identificazione a radio frequenza, con un microprocessore avente funzioni di logistica di controllo, provvisto di memoria, connesso ad un’antenna e inserito in un contenitore specifico. I TAG, nel gergo comune definiti chip, incorporano un codice univoco leggibile dal Reader. Essi sono catalogabili in base al tipo di fonte energetica richiesta per il loro funzionamento. Secondo tale criterio si distinguono in passivi, semi-passivi e attivi.
2) Reader: è un ricetrasmettitore esterno al trasponder, con un microprocessore proprio. Interroga e riceve informazioni dal TAG. Si distinguono due tipi di Reader, quelli per TAG attivi, formati da ricetrasmettitori controllati, e quelli per TAG passivi e semi-passivi, che emettono un particolare segnale RF diretto al trasponder, dal quale viene ricavata l’energia per modulare la risposta [2].
3) Sistema di gestione: è un sistema informatico che, quando presente, consente di ricavare tutte le informazioni disponibili associate agli oggetti e di gestirle tramite un software specifico [2].


Stato dell’arte della tecnologia RFId nel settore agrario


Nel settore agrario, questa tecnologia è già stata impiegata con successo nell’ambito delle ricerche svolte per la protezione degli storici cipressi del viale di Bolgheri affetti da cancro corticale, indotto dal fungo Seridium cardinale Wag. Grazie all’utilizzo di microchips a radiofrequenza è stato possibile identificare univocamente ogni singolo albero oggetto della sperimentazione, avviando così, una ricerca finalizzata alla selezione di genotipi più resistenti al patogeno. In Basilicata, invece, è stato messo a punto un sistema informatizzato di tracciabilità di cultivar di agrumi nella filiera vivaistica, utilizzando sia braccialetti elettronici, che chips di vetro inseriti sotto corteccia. Tale sistema ha consentito di abbinare alla pianta un codice identificativo univoco riferito a specifiche schede tecniche [3].


Il progetto di ricerca


Nell’ambito del vivaismo viticolo, è stato sviluppato un progetto di ricerca per l’identificazione del materiale vegetale prodotto. L’iniziativa ha visto impegnati, per la sua realizzazione, Enrico Rinaldelli, Roberto Bandinelli, Mario Pagano, afferenti al Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura dell’Università di Firenze (oggi DiSPAA) e Enrico Triolo, Andrea Luvisi, del Dipartimento di Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose, Sezione Patologia Vegetale “G. Scaramuzzi” dell’Università di Pisa, congiuntamente all’Associazione Toscana Costitutori Viticoli (TOS.CO.VIT.), al vivaio “New Plants” di Barbara Gini (Cenaia, PI) e RFID360 S.r.l. (per la fornitura del materiale elettronico).
Gli obiettivi di questo studio, avviato nel 2007 presso i Vivai New Plants di B. Gini (Cenaia, Pisa), hanno inizialmente riguardato i seguenti aspetti: a) messa a punto di una metodologia per l’inserimento dei TAG nell’innesto-talea; b) verifica a breve e lungo termine, della compatibilità fra chip e piante.
Le prove sono state condotte partendo da innesti-talea ottenuti dalla combinazione di 5 cloni con uno stesso portinnesto. I cloni impiegati, scelti nell’ambito di vitigni ampiamente diffusi sul territorio, sono stati: Sangiovese I-SS-F9-A5-48, Prugnolo gentile I-Bruscello, Colorino I-US-FI-PI-10, Trebbiano toscano I-S. Lucia 12 e Vernaccia di S. Gimignano I-VP6. Come portinnesto è stato adottato il 1103P. Come già anticipato, il lavoro è iniziato nel 2007 con la preparazione degli innesti talea e l’inserimento del chip nel portinnesto. Gli innesti-talea ottenuti, secondo la tecnica dell’innesto al tavolo, sono stati divisi per cloni e, successivamente, portati in magazzino per l’inserimento dei chips. Per tale operazione sono state adottate due metodologie (oggetto di brevetto internazionale), specificamente messe a punto nei mesi precedenti, comprendenti l’esecuzione a) di un foro e b) di una fessura.


  • Il chip è stato inserito direttamente nell’astuccio midollare del portinnesto dopo aver perforato il midollo con un piccolo trapano. Tenuto conto che il materiale oggetto delle prove era già innestato, è stato necessario disassemblare la marza dal soggetto per praticare un foro, nella parte distale, con un diametro di 2,5 mm ed una profondità di 2 cm (fig. 1).
  • Il chip è stato inserito in una fessura, ricavata anch’essa nell’astuccio midollare del portinnesto, per mezzo di una apparecchiatura appositamente progettata. In questo caso, su un lato della porzione distale del soggetto, è stata effettuata, per mezzo di uno speciale punzone mosso da una leva, un’incisione di forma ellittica che ha interessato tutti i tessuti fino al midollo (fig. 2).

La presenza del chip all’interno della pianta e, così pure, le ferite arrecate ai tessuti per ricavare il suo alloggiamento, non hanno compromesso l’istogenesi dell’innesto e neppure la traslocazione attraverso i vasi. Tale vitalità del bionte è stata confermata dall’attività vegetativa in pieno campo dei cinque vitigni innestati che si è svolta in maniera non dissimile dal controllo [3]. Successivamente sono state identificate, attraverso l’impiego di un palmare specificatamente predisposto (fig. 3), ogni singola barbatella consentendone così, la creazione di specifiche schede tecniche.
Infine, confermata la piena compatibilità tra la pianta e il chip, il progetto si è sviluppato attraverso la realizzazione di un data-base (http://www.youtube.com/watch?v=cpqZa1zAV4Y) contenente tutte le schede identificative relative al materiale vegetale oggetto della sperimentazione.
In futuro, nuovi scenari potrebbero derivare dall’implementazione di questa esperienza di ricerca per lo sviluppo di innovative metodiche di controllo e certificazione della filiera.


Inserimento del microchip
Fig. 1 – Inserimento del microchip nella porzione distale del portinnesto (metodo a)


Chip nel portinnesto
Fig. 2 – Inserimento del chip in una apposita fessura ricavata nel legno del portinnesto (metodo b)


Indentificazione del codice della barbatella
Fig. 3 – Identificazione, attraverso il palmare-RFId, del codice della barbatella


Bibliografia
[1] www.csqa.it
[2] A.A. VARI, 2006 – RFId Tecnologie per l’innovazione. Eurografica s.r.l., Roma: 39-107.
[3] Pagano M., 2008 – Identificazione e tracciabilità nella filiera vivaistico-viticola per mezzo di radiofrequenze (RFId) (prima serie di ricerche). Tesi di Laurea, depositata presso la Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Firenze.


Mario Pagano, laureato in Scienze e Tecnologie Agrarie (vecchio ordinamento) presso l’Università degli Studi di Firenze, ha conseguito il Dottorato di ricerca in Agrobiotecnologie per le Produzioni Tropicali. Curriculum vitae >>>


 






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