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di Benedetto Rocchi

Il documento in preparazione: motivazione, fasi di realizzazione, stato di avanzamento

Entro al fine del 2009 è prevista il rilascio da parte della Commissione Europea di una Comunicazione dal titolo “Riformare il bilancio, cambiare l’Europea” (http://ec.europa.eu/budget/reform/index_en.htm). Il documento risponde ad un mandato assegnato alla Commissione al termine del Consiglio Europeo nel 2005 durante il quale fu raggiunto l’accordo politico sulle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013. Fin da allora è stato avviato un percorso di analisi della struttura e delle voci del bilancio europeo che ha incluso studi e analisi di specialisti e consultazioni con i paesi membri, le altre istituzioni dell’Unione (in particolare il Parlamento) e con le rappresentanze dei diversi attori sociali.
La Comunicazione, la cui pubblicazione è programmata per il 24 novembre, non entrerà nel merito delle dimensioni del bilancio comunitario, che saranno oggetto di trattativa politica nei prossimi anni, in vista della scadenza del 2013; costituirà piuttosto una proposta ed un orientamento nell’individuazione delle nuove priorità nella spesa europea, nella definizione delle modalità  con cui tale spesa dovrà essere allocata e nel reperimento delle linee di finanziamento proprie del bilancio europeo.
I cambiamenti di cui si discute sono di notevole portata per tutta la struttura dell’azione finanziaria europea, che richiede tra l’altro di essere armonizzata con il nuovo quadro istituzionale emerso dalla ratifica del trattato di Lisbona. Non potranno mancare di conseguenza significativi cambiamenti nella stessa Politica Agricola Comunitaria (PAC) che del bilancio europeo costituisce tuttora una quota rilevante. Del resto l’orizzonte del 2013 è già entrato nel dibattito sulle politiche agricole, motivando alcune delle scelte effettuate con l’accordo di un anno fa sulla verifica dello stato di salute della PAC (Health Check). E’ convinzione condivisa dalla gran parte degli attori del mondo agricolo che la spesa agricola sarà oggetto di critiche e tentativi di ridimensionamento al momento della definizione del successivo periodo di programmazione: molti altri obiettivi strategici chiedono ormai di essere sostenuti dal bilancio europeo. Una prospettiva rafforzata dalla crisi macroeconomica globale, che ha messo sotto pressione i conti dei paesi membri.

Cinque principi per la riforma del bilancio comunitario
La bozza di Comunicazione che circola informalmente in attesa della definitiva pubblicazione articola le proposte di riforma seguendo cinque principi guida ed individuando tre assi prioritari.
Tra i cinque principi il primo e il più rilevante, anche per l’enfasi e la frequenza con cui viene richiamato lungo tutto il documento, è quello del valore aggiunto prodotto a livello europeo. In sostanza la Commissione sottolinea come l’uso delle risorse del bilancio comunitario dovrebbe essere orientato preferenzialmente verso quelle azioni che possono raggiungere i loro obiettivi in modo ottimale solo a livello europeo. Dovrà pertanto rivolgersi ad azioni coerenti con gli obiettivi politici contenuti nei trattati istitutivi (policy relevance), adottare un approccio basato sulla sussidiarietà (riservando al livello europeo solo le azioni che non possono essere gestite efficacemente a livello nazionale o regionale), essere commisurate al raggiungimento degli obiettivi fissati (proportionality).
Il principio del valore aggiunto europeo è il più innovativo rispetto all’approccio attualmente vigente in Europa alla spesa pubblica europea; gli altri quattro infatti richiamano aspetti che spesso, e a diversi livelli, hanno caratterizzato fin qui le decisioni europee: si tratta infatti di incrementare la flessibilità e la capacità di risposta della spesa alle sfide che via via si presentano; di concentrare la spesa su priorità chiave; di progredire ulteriormente nella semplificazione ed efficienza della spesa; di attuare i cambiamenti, soprattutto sul lato del finanziamento, secondo una appropriata gradualità. Il principio del valore aggiunto europeo, infatti, riconosce l’esistenza di politiche che devono essere considerate genuinamente europee, di azioni che possono esplicare la loro efficacia solo a livello continentale: il bilancio europeo dovrebbe insomma adeguarsi ad una prospettiva strategica più ampia, meno rivolta ai problemi interni e più legata a prospettive globali. I prossimi anni diranno se questa prospettiva si tradurrà in un’effettiva innovazione nella spesa o se invece rimarrà nell’ambito delle enunciazioni di principio.

Tre assi prioritari
L’individuazione di assi prioritari sui quali concentrare le azioni finanziate dal bilancio dell’Unione, come abbiamo visto, deve costituire uno dei principi guida della riforma e, a partire dalla fine degli anni ’80, contraddistingue la programmazione del bilancio comunitario. La bozza di Comunicazione indica tre assi intorno ai quali “rimodellare” il bilancio:

– crescita sostenibile e occupazione;
– Europa globale;
– clima ed energia.

Il primo dei tre riceve dalla Commissione una particolare attenzione, probabilmente anche in risposta alle sfide poste dalla crisi macroeconomica che si è sviluppata proprio durante la procedura di consultazione. L’esigenza di accrescere la competitività europea sul piano delle conoscenze (ricerca scientifica e tecnologica) e delle performance economiche (innovazione, vantaggi competitivi); la necessità di rilanciare un’azione coordinata a favore dell’occupazione dopo la più grave recessione economica del secondo dopoguerra; l’urgenza di mettere in atto efficaci politiche di coesione sociale per contrastare le sempre attive disparità territoriali e le rinnovate disparità sociali, sempre più legate a rilevanti fenomeni migratori; si tratta di obiettivi non nuovi nei documenti europei ma che nella presente congiuntura possono essere riproposti con particolare enfasi.
Gli altri due assi prioritari, viceversa, sembrano più strettamente espressione del principio del valore aggiunto europeo. Il primo dei due richiama la proiezione esterna dell’Unione Europea, la sua aspirazione a porsi come attore chiave di fronte ai principali problemi globali, come la lotta alla povertà, l’intervento in specifiche crisi regionali, il contrasto delle minacce alla sicurezza e alla pace. Il secondo propone le politiche ambientali come esempio tipico di azioni che possono avere successo solo se gestite a livello sovranazionale. I due aspetti dell’approvvigionamento energetico e della lotta ai cambiamenti climatici globali sono proposti nel documento come due aspetti dello stesso problema: ad esempio per la Commissione le azioni per incentivare lo sviluppo di tecnologie “low carbon” costituiscono anche una risposta all’esigenza di diversificare le fonti energetiche e di aumentare l’efficienza globale nell’uso dell’energia. La politica energetica e ambientale dovrebbe esplicarsi sia in azioni interne che esterne all’Unione ed il bilancio comunitario dovrebbe assecondare tali azioni sia sul lato degli incentivi che sul lato dei vincoli. L’approccio della condizionalità, che gli agricoltori hanno imparato a conoscere con le ultime riforme della PAC, viene proposto come vero e proprio approccio generale alla spesa, in grado di orientare l’implementazione di tutte le politiche europee al raggiungimento di un obiettivo trasversale.
Non sorprende perciò che proprio nella discussione di questo asse prioritario la bozza della Commissione dedichi uno spazio rilevante al futuro della Politica Agricola Comunitaria.

Il futuro della PAC nel bilancio europeo
La Commissione riconosce che, a partire dal primo periodo di programmazione finanziaria (1988) la PAC ha mostrato una considerevole evoluzione testimoniata sia dal cambiamento delle sue caratteristiche (progressivo disaccoppiamento, crescita del secondo pilastro) sia dal ridimensionamento del suo peso sul bilancio complessivo (dal 61 al 32%). Senza entrare sul terreno delle proposte concrete la Commissione sottolinea come la PAC debba anch’essa essere armonizzata al principio del valore aggiunto europeo, indicando come obiettivi fondamentali sia la necessità di una ulteriore modernizzazione sia, soprattutto, l’esigenza di un suo ulteriore ridimensionamento al fine di liberare risorse per i nuovi obiettivi strategici. Un’ulteriore riduzione dei meccanismi di regolazione dei mercati, che dovranno essere ridotti a poco più di reti di sicurezza per particolari situazioni di crisi, viene ovviamente proposta. Ma, più in generale, sembra emergere una visione nella quale la PAC appare sempre più orientata a favorire la produzione di beni pubblici da parte dell’agricoltura: miglioramento della qualità dell’ambiente rurale, lotta al cambiamento climatico, conservazione del paesaggio, tutela della biodiversità e del benessere animale, difesa delle risorse idriche. Sempre più risorse del budget agricolo dovranno essere destinate a questo tipo di “produzione”, sia mediante azioni di incentivo diretto che attraverso meccanismi di condizionalità ambientale nell’erogazione del sostegno alle attività di produzione di beni agricoli per il mercato.
Allo specifico aspetto della lotta ai cambiamenti climatici viene data una particolare enfasi al punto che viene ipotizzata l’istituzione di un vero e proprio terzo pilastro  della PAC nel quale riunire il finanziamento di tutte le azioni dirette finalizzate a questo scopo. Questa particolare attenzione può essere in parte spiegata dalla concomitanza dell’uscita del documento della Commissione con lo svolgimento della Conferenza di Copenaghen sul clima, in programma per il prossimo Dicembre. La posizione dell’Unione Europea è, come noto, decisamente favorevole al raggiungimento di un nuovo protocollo sulla riduzione della produzione di gas serra che superi quello di Kyoto, impegnando i paesi ad imporre vincoli molto più severi alle loro emissioni. Nelle conclusioni del Consiglio dello scorso 21 ottobre (http://register.consilium.europa.eu/pdf/it/09/st14/st14790.it09.pdf) vengono richiamate le potenzialità offerte dall’agricoltura nella mitigazione delle emissioni e si chiede che l’accordo di Copenaghen dedichi un sufficiente spazio a questo settore (punto 21).
Tuttavia la necessità di un crescente collegamento tra politiche agricole e ambientali è ormai ampiamente condivisa in Europa sia a livello di opinione pubblica che di esperti. Recentemente è stato pubblicato un documento per la discussione da parte di alcuni tra i più eminenti economisti agrari europei (http://agriregionieuropa.univpm.it/dettart.php?id_articolo=516), nel quale sostanzialmente si individua come unica giustificazione accettabile per la politica agraria futura la capacità del settore agricolo di produrre beni pubblici, in particolare quelli di natura ambientale: lotta al cambiamento climatico, tutela della biodiversità, gestione delle risorse idriche. Secondo gli estensori del documento, in ultima analisi, mentre tutti gli altri obiettivi tradizionalmente assegnati alla PAC possono essere perseguiti nell’ambito di altre, più specifiche politiche (il sostegno del reddito agricolo nell’ambito delle politiche sociali, lo sviluppo rurale nell’ambito delle politiche di coesione e convergenza e così via) il sostegno diretto alle attività di produzione agricola potrebbe essere giustificato solo dal suo specifico ruolo nella produzione di beni ambientali, che la collettività considera necessari ma per i quali non esiste un mercato. Quanto detto lascia pensare che nei prossimi anni gli aspetti ambientali vedano crescere il loro ruolo nella discussione sulle politiche agricole.
Un ultimo aspetto del documento della Commissione che è importante ricordare è l’esigenza di un nuovo e crescente ruolo degli stati nazionali nel cofinanziamento della PAC. Così, se da un lato il budget agricolo europeo sembra destinato a ridursi, dall’altro il documento apre lo spiraglio per una parziale rinazionalizzazione del sostegno al settore agricolo, sia pure all’interno di un insieme di regole condivise e vincolanti.

La PAC dopo la riforma: ipotesi e problemi
Anche se è presto per fare previsioni di dettaglio, sono comunque possibili fin da ora alcune considerazioni di prospettiva della sulla configurazione della PAC dopo il 2013.
1. Riduzione del budget agricolo. La riduzione del budget agricolo è senz’altro uno prospettiva concreta. Agli occhi dell’opinione pubblica europea, infatti, appare sempre meno giustificabile l’elevata quota di risorse destinata ad un settore produttivo che rappresenta ormai pochi punti percentuali del PIL di molti paesi membri. Leggendo il risultati dei sondaggi di Eurobarometro sulla PAC (inserire link) non ci si sorprende di registrare la crescente importanza attribuita alle motivazioni più innovative della spesa agricola, come la tutela ambientale, la salubrità degli alimenti, la difesa del benessere animale, rispetto a quelle tradizionalmente alla base della giustificazione politica della PAC (difesa del reddito agricolo, approvvigionamento alimentare). In particolare, la necessità di aumentare la competitività dell’economia europea all’interno di un mercato globale sempre più “affollato” di competitor in forte crescita, sembra essere l’argomento preferito dei governi (come quello del Regno Unito) sostenitori di una riduzione del budget agricolo. Una possibile conseguenza della contrazione delle risorse ordinariamente assegnate all’agricoltura a livello europeo  potrebbe tradursi in un ruolo crescente del cofinanziamento nazionale, soprattutto attraverso il secondo pilastro. I problemi che potrebbero derivarne sono una potenziale disomogeneità territoriale nel sostegno al settore e l’amplificarsi dei problemi di implementazione e coordinamento della spesa che questo tipo di strumenti già registra.
2. Riduzione del sostegno diretto dei redditi agricoli. La riduzione è esplicitamente proposta a più livelli e, di conseguenza, appare abbastanza probabile. Tuttavia è bene ricordare che questo tipo di riforma è quella politicamente più “sensibile”, sia per la rilevanza degli aiuti diretti che oggi vengono percepiti dai produttori agricoli (tra il 20 e il 30 % dei ricavi), sia per il ruolo di copertura dal rischio di impresa che la presenza di un flusso di cassa certo costituisce. Se dunque le pressioni verso una riduzione del pagamento unico sono forti altrettanto rilevanti sono le pressioni da parte degli attuali beneficiari affinché le modifiche siano ridotte al minimo indispensabile. Al di là della riduzione globale ciò che appare assai probabile è comunque una redistribuzione dei premi tra i beneficiari. Soprattutto nei paesi, come l’Italia, in cui il calcolo del pagamento su base storica è ancora vigente, sarà inevitabile una redistribuzione in base a criteri più accettabili. Dopo il 2013 infatti sarà improponibile garantire i diritti ai premi sulla base degli aiuti percepiti in un periodo di riferimento fissato a più di dieci anni prima (2000-2002). L’adozione di un tasso di aiuto ad ettaro omogeneo all’interno di ambiti regionali ampi sarà di conseguenza inevitabile. La riduzione dei premi verrà invece perseguita con ogni probabilità sia attraverso l’incremento dei tassi di modulazione obbligatoria a favore del secondo pilastro che attraverso l’innalzamento della soglia minima di accesso ai contributi (motivata tra l’altro dall’esigenza di ridurre i costi amministrativi di gestione della PAC). La seconda modalità di riduzione, che potrebbe tagliare fuori dal pagamento un numero significativo di aziende di piccole dimensioni, potrebbe ampliare significativamente l’impatto redistributivo della riforma e costituire un problema per certe forme di agricoltura multifunzionale e con funzione sociale. In altre parole gli obiettivi più strettamente distributivi della PAC saranno con ogni probabilità gradualmente dimessi.
3. Crescita degli schemi di supporto sotto forma di incentivo. Da quanto scritto nei paragrafi precedenti è facile prevedere una crescita degli schemi di spesa agricola sotto forma di incentivi, in particolare per azioni finalizzate al raggiungimento di obiettivi ambientali. Accanto alla condizionalità, che fissa dei requisiti minimi di compatibilità ambientale per le attività di produzione agricola che aspirino ad avvalersi del sostegno, cresceranno con ogni probabilità le forme di incentivazione diretta di particolari azioni, tecniche e produzioni con finalità ambientali o comunque destinate alla produzione di beni pubblici. La PAC si dovrebbe configurare sempre più come un “quasi-mercato” nell’ambito del quale fare incontrare domanda e offerta di beni pubblici. Quali conseguenze potrebbe avere questo tipo di evoluzione? Dal punto di vista delle aziende beneficiarie sarà sempre più importante effettuare investimenti (audit aziendale, forme di certificazione) finalizzati al rispetto di requisiti per l’accesso ai fondi che dovrebbero farsi più stringenti: una scelta che richiederà comunque attente analisi che pongano a confronto i costi (che potrebbero non essere irrilevanti) e i benefici (di cui sarà necessario valutare anche i rischi e l’orizzonte temporale) di una progressiva specializzazione nel business della fornitura di beni pubblici. Per quanto riguarda gli effetti economici generali sono possibili due considerazioni. Innanzitutto una crescente quota di supporto veicolata attraverso incentivi a favore di determinate forme di attività potrebbe generare un certo “riaccoppiamento” del sostegno, una limitazione cioè del ruolo del mercato nelle scelte produttive degli imprenditori a fronte di un incremento delle scelte guidate dalle politiche economiche. In secondo luogo un’appropriata gestione di queste forme di incentivo comporterà dei costi di transazione, in termini di procedure amministrative e di controlli tecnici, che è facile prevedere come piuttosto elevati. Come dimostra l’esperienza nell’applicazione delle misure agroambientali e la difficoltà nel rendere il meccanismo della condizionalità veramente effettivo, non è facile e comunque è in genere costoso misurare l’effettiva produzione di beni pubblici ambientali. Considerando che la semplificazione amministrativa costituisce uno dei principi che dovrebbero guidare la riforma del bilancio comunitario, il rischio che si intravede è che la produzione di beni pubblici possa trasformarsi semplicemente in una giustificazione più accettabile del sostegno al reddito dei produttori agricoli ma in un quadro di minore trasparenza dal punto di vista del contribuente europeo.

Benedetto Rocchi è ricercatore presso il Dipartimento di Economia Agraria e delle Risorse Territoriali dell’Università di Firenze, dove insegna Economia Agroalimentare e Sistemi di Certificazione della Qualità Alimentare. Continua >>>

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