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ALCUNE CONSIDERAZIONI A SUPPORTO DELLA MULTIFUNZIONALITÀ DELLE AREE RURALI

di Nicola Galluzzo

Introduzione
La salvaguardia dell’ambiente considera l’ambiente stesso un bene complesso, costituito da varie comunità di individui che in esso operano e interagiscono: A partire dall’anno 1997 l’Italia ha recepito le norme europee per la salvaguardia degli habitat e l’istituzione dei Siti di importanza comunitaria (SIC) e delle Zone di speciale di conservazione (ZPS).
L’introduzione di un SIC o di una ZPS in un contesto rurale, molto spesso è individuata come uno strumento di coercizione e di vincolo che può deprimere l’intera economia del territorio, limitando alcune tecniche agronomiche e allevatoriali che dovranno tenere conto delle modifiche gestionali connesse.

Caratteristiche dell’area di studio
La disamina dei dati dell’area di studio, sulla quale è in procinto di essere approvato il regolamento di gestione SIC, caratterizzata da un paesaggio che risulta essere abbastanza eterogeneo ha confermato una significativa riduzione della popolazione residente e un severo invecchiamento della popolazione, ben superiore al valore medio provinciale (Sistar, 2006). Nei comuni montani coinvolti sembra confermata la presenza di aree rurali a fortissimo rischio di spopolamento con delle conseguenze pratiche sulla gestione del territorio e del suo presidio, anche se la gestione delle superfici boscate e pascolive è affidata ad enti pubblici e alle Università agrarie. La dotazione prativa è gestita, prevalentemente, da istituzioni pubbliche e il patrimonio zootecnico è costituito da bovini e ovini per complessive 4.500 Uba (Unità bovino adulto). L’analisi del patrimonio zootecnico ovino e bovino ha confermato un calo costante, sia nella numerosità aziendale sia per ciò che attiene i capi allevati, anche se con significatività differenti tra i diversi comuni dell’area di studio, confermando come l’area sia adatta all’allevamento di capi bovini mediante la linea vacca-vitello e, in modo specifico, di ovini da cui ricavare carne e latte. L’analisi dei dati disponibili ha evidenziato, nell’area di studio, una certa stabilità nella superficie prativa e pascoliva, sfruttate per l’allevamento degli animali nei mesi primaverili ed estivi, accompagnata da un aumento abbastanza significativo della superficie boscata, nello specifico nei comuni ad elevata acclività.

Obiettivi dell’analisi
Il presente lavoro vuole illustrare, brevemente, alcune criticità che sono emerse nel corso di una programmazione esogena, parzialmente concertata, di un’area montana interna dell’Appennino centrale, finalizzata a dare corso ad un regolamento di gestione istitutivo di una ZPS e di alcuni SIC, evidenziando le conseguenze che ne potrebbero derivare, sia per le prospettive zootecniche di un allevamento di qualità, sia per quelle economiche, a seguito di limitazioni operative e gestionali imposte, con un depotenziamento delle attività di sviluppo socio-economico di un territorio appenninico a significativa valenza zootecnica.

Analisi dei risultati e discussione
La disamina dei dati, finalizzata a verificare le condizioni di carico di bestiame mantenibile, hanno fatto emergere come nei comuni interessati non si verifichino grossi problemi di sovrapascolamento, confermando il ruolo dell’area per assicurare uno sviluppo agrosilvopastorale ecocompatibile per le comunità rurali ed i loro allevamenti, che ammontano a circa 12.000 Uba, ossia 5 Uba, in media per azienda, e ben al di sotto dei livelli minimi necessari a garantire una redditività discreta alle aziende zootecniche. L’analisi del carico di bestiame mantenibile per singolo comune ha fatto emergere dei dati non significativi circa pericoli di sovrapascolamento, essendo il dato rilevato inferiore al valore unitario (valore soglia); pericoli di sovrapascolo sono imputabili, anziché, al numero di capi allevati alla tipologia ed alla gestione zootecnica della mandria. In media si è osservato come le Uba per ettaro, nel caso dell’allevamento bovino, sono state notevolmente inferiori a quelle derivanti dall’allevamento ovino, dimostrando come quest’ultimo sia numericamente consistente ed incisivo per la sostenibilità zootecnica dei comuni dell’area di studio.
In riferimento alle indicazioni regolamentari delle attività agro-pastorali previste, emergono alcuni elementi di non univoca interpretazione; alcuni elementi di criticità appaiono essere i seguenti:
1) fenomeni di sovrapascolamento; il rapporto Uba/ha si colloca entro i limiti evidenziati in bibliografia e ben al di sotto dei valori soglia indicati nei comuni a ridosso della cimosa appenninica, il che potrebbe garantire la possibilità di allungare il periodo di pascolo. L’elemento discriminante per evitare il sovrapascolamento è dato dalla scelta delle turnazioni e delle specie zootecniche da allevare;
2) limitazione delle attività pastorali su pascoli d’alta quota e razionalizzazione del pascolo secondario. Le mandrie di bovini allevate nell’area di studio sono abbastanza limitate e sono costituite da pochissimi capi, in linea con quelle che sono altre forme di allevamento tipiche dell’Appennino centrale, caratterizzate dalla linea vacca-vitello. Inoltre, non va dimenticato che il pascolo riveste una funzione di finissaggio nella fase terminale di allevamento per migliorare la qualità della carne; la limitazione del pascolo potrà influire negativamente sulla qualità del prodotto, anche in una prospettiva di valorizzazione qualitativa del prodotto con marchi specifici.
L’analisi zootecnica ed economica ha fatto emergere come, nell’area di studio, esista la possibilità, a seguito dell’incremento della superficie destinata a colture prative e pascolative, di un aumento delle Unità foraggiere (Uf) disponibili, le quali sono salite di un +7% nell’ultimo intervallo intercensuario (1990-2000), recuperando il calo del 20% fatto registrare nel Censimento generale dell’agricoltura del 1970.

 

Per garantire una sostenibilità del territorio montano, sarebbe opportuno riattare i rifugi rendendoli autosufficienti con strutture di immagazzinamento e di potabilizzazione dell’acqua e con l’istallazione di pannelli fotovoltaici. Per valutare l’eventuale pericolo di un eccessivo sfruttamento dei pascoli nell’area di studio, così come proposto dagli autori del piano di gestione e del regolamento, da realizzarsi a detta di alcuni mediante una riduzione sensibile del pascolo nelle praterie primarie e secondarie, è stata eseguita una simulazione utilizzando la metodica proposta, per altri contesti, utile per valutare le aree sensibili alla desertificazione, in particolare, nelle aree a pascolo (Motroni et al.,2006). A tal fine, rispetto alla metodologia proposta si è considerato, anziché la sostanza secca totale prodotta, le Unità foraggiere, al fine di ottenere un indice di pascolamento sostenibile in due situazioni diverse. In entrambe le situazioni osservate, è emerso come i pascoli, benché siano sfruttati per pochi mesi all’anno e godano di condizioni climatiche discrete, si collochino in una posizione di sensibilità severa, ma non critica, con un carico mantenibile superiore al valore di indice di pascolamento sostenibile, il che induce a favorire e incentivare la continuazione della gestione zootecnica normale, in grado di evitare pericoli di sovrapascolo.
Il calcolo delle Unità foraggiere ottenibili nell’area di studio e i consumi richiesti ha consentito di definire dei deficit alimentari, da sanare mediante acquisti esterni, stimabili in centomila Uf con costi abbastanza consistenti, i quali finiscono per ridurre il reddito netto aziendale (Tabella 1). Qualora si decida di attuare una soluzione più stringente, finalizzata a limitare in maniera completa e tassativa lo sfruttamento delle praterie primarie e secondarie dell’area di studio, i costi stimabili saranno abbastanza consistenti. Tutto ciò dovrebbe, di conseguenza, prevedere misure di compensazione tali da ripianare i costi alimentari extra-aziendali da sostenere (Tabella 2).

Conclusioni e brevi cenni di proposte di intervento
L’analisi sin qui condotta ha evidenziato l’importanza degli strumenti di gestione delle aree caratterizzate dalla presenza di SIC e ZPS per le quali si rende necessario l’attuazione da parte di tutti comuni interessati, e non solo, di alcuni di strumenti operativi rappresentati dai piani di gestione dei boschi e dei pascoli e di assestamento forestali, i quali, se da un lato comportano dei costi iniziali di studio e di redazione sostenuti, in particolare per i piccoli comuni, al contempo consentono di programmare l’attività agro-silvo-pastorale e lo sviluppo socio-economico delle comunità rurale, evitando fenomeni di degrado ambientale e sociale. Il piano di gestione appare, quindi, uno strumento necessario per una corretta programmazione e pianificazione dell’ambiente e delle aree rurali, assimilabile al piano regolatore generale delle città.
La disamina dei dati inerenti la sostenibilità ecologica, intesa come relazione tra carico di bestiame mantenibile e la suscettibilità ambientale, espressa come quantità di azoto prodotto dai capi zootecnici allevati nell’area di studio, ha dimostrato come l’attività zootecnica si collochi ben al di sotto dei valori soglia di criticità previsti dalla normativa nazionale ed europea. Il carico allevabile, infatti, sia in termini di Uba per ettaro di superficie foraggiera sia in termini di azoto prodotto per ettaro, calcolato riferendosi alla Direttiva nitrati 91/676/CEE, è risultato essere inferiore dell’85% rispetto ai valori soglia previsti dalla normativa vigente. Da tale disamina appare evidente come l’attività zootecnica in questi areali di interesse naturalistico non sia capace di generare degli impatti ecologici negativi, confermando, invece, il ruolo dell’agricoltura nelle aree rurali quale strumento di garanzia della multifunzionalità agricola.

Bibliografia
– Motroni A., Canu S., Bianco G., Loj G, (2002), “Realizzazione di un Sistema Informativo territoriale per lo studio delle aree sensibili alla desertificazione in Sardegna”, rilevato il 20 luglio 2006 sul sito www.sar.sardegna.it/pubplicazioni/miscellanea/miscellanea.asp;
– Sistar Lazio, (2006), www.regione.lazio.it/web/statistica/sito_ist/annuario.php.
 
Nicola Galluzzo si è laureato in Scienze agrarie presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, conseguendo il perfezionamento in Economia del turismo e in Gestione  e organizzazione  territoriale delle risorse naturali presso l’Università La Sapienza di Roma, in Studi europei presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Genova. Assegnista di ricerca presso l’Istituto Nazionale di Economia Agraria (Inea). Attualmente è dottorando di ricerca in Scienze degli Alimenti presso il Dipartimento di Scienze degli Alimenti Unità operativa in economia agro-alimentare della Facoltà di Agraria di Teramo.

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