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di Mario Giannone

Vacca Pezzata Rossa Italiana
Vacca Pezzata Rossa Italiana

Quando si parla di razze a più attitudini bisogna pensare a tutte le combinazioni possibili: normalmente l’attitudine citata per prima è quella prevalente, ma questa è una vecchia e saggia regola che potrebbe non valere più. Abbiamo bovini a duplice attitudine: latte – carne; carne – latte; lavoro – carne; carne – lavoro; latte – lavoro; lavoro – latte  e abbiamo, sia pure in numero limitato, razze a triplice attitudine dove lavoro, carne e latte, in armonico equilibrio, hanno congiuntamente una loro importanza economica.

Per quanto riguarda la duplice attitudine latte – carne e viceversa, la situazione è un po’ diversa rispetto al miglioramento del bestiame rustico, risulta più semplice e comprensibile procedere verso queste due attitudini usando i metodi selettivi che l’attuale conoscenza tecnica scientifica ci consiglia. Abbiamo, anche qui, poche razze che si possono veramente definire a duplice attitudine, l’impostazione economica attuale ci spinge sempre più verso specializzazioni esasperate e quindi per questi soggetti gli “spazi” sono veramente ridotti. Ma come nel pezzo precedente, apparso sul n. 70 01/12/08, quando abbiamo parlato di rusticità, in adeguate situazioni un bovino con duplice attitudine può risultare vincente su altri soggetti decisamente più specializzati. Esistono dei limiti obiettivi al miglioramento delle due attitudini congiunte, che qui sinteticamente ricordo solo per chi sconosce queste problematiche. In grande sintesi, un limite veramente insuperabile è dato dalla morfologia: nel bestiame da carne appare ovvio che le masse muscolari devono essere particolarmente sviluppate e in particolare laddove abbiamo i tagli pregiati, in altre parole sul piano dorsale e nel treno posteriore. Quindi, se abbiamo le cosce ipermuscolate che si toccano al loro interno, il posto per una voluminosa e capiente mammella non ci può essere. Il secondo aspetto limitante è il sistema metabolico, che nei soggetti da latte è ipertiroideo spinto e quindi con metabolismo accellerato che porta a bruciare tutto ciò che si assume come alimento, esattamente il contrario del metabolismo che dovremmo avere in un soggetto da carne, dove l’accumulo è alla base della produzione e quindi si parla di ipotiroidei. Si aggiungono problemi alimentari, di gestione, ancora morfologici  e legati alla capacità di ingestione.
Le razze a triplice attitudine,  che sono in relativo equilibrio tra carne, latte e rusticità, appartengono al gruppo dei normotiroidei: questo gruppo è il più sacrificato e purtroppo continua a diminuire. Direi che semplicemente è in corso un processo, al momento apparentemente irreversibile, di eliminazione di questo tipo di bestiame erroneamente considerato fuori “moda”, non rispondente alle esigenze momentanee. Non trovo difficile asserire che si tratta di una valutazione superficiale: chiunque abbia un po’ di lungimiranza dovrebbe contrastare questi orientamenti. Per fare un esempio concreto, l’antica razza Pugliese/Podolica, da sempre ha conservato le tre attitudini congiunte (quindi anche il latte ha nella storia e nell’economia di questo bovino la sua importanza) ma gli attuali schemi selettivi, ufficialmente riconosciuti, puntano ad accrescere la produzione della carne, ignorando le altre attitudini, in particolare quella della produzione del latte. Appare ovvio che ciò non è storicamente corretto anche in considerazione del fatto che con il latte di queste vacche venivano e vengono, ancora oggi, prodotti eccellenti formaggi. Pertanto l’ignorare la produzione del latte, costringe gli allevatori storici a seguire altre strade, pur di ottenerlo. La soluzione, in assenza di alternative, è quella dell’incrocio, spesso in modo casuale con razze specializzate da latte senza un criterio operativo. Ne consegue un danno reale al patrimonio genetico, che in questo modo viene inquinato ed è destinato ad andare verso il caos più totale.

Toro di razza Podolica
Toro di razza Podolica

Alcune considerazioni finali
Anche se sono discorsi sentiti e risentiti, sarebbe bello e utile che le razze rustiche e a più attitudini fossero stabilizzate piuttosto che sospinte verso questa o quella produzione secondo le tendenze del momento, per poi tornare indietro o correre altrove alla continua ricerca della pentola d’oro. Una storia già vista e rivista. Siccome disponiamo già, nel nostro quadro nazionale, di prestigiose razze straniere nazionalizzate, evitiamo di “specializzare” anche le poche razze nazionali sopravissute, perché non servirebbe a niente, se non a formare delle brutte copie assolutamente non competitive. Sulla conservazione indenne delle razze, ormai sono decisamente scettico e critico. La storia insegna, che chi prima e chi dopo, tutte vengono trasformate e modificate secondo le decisioni del momento. E’ una illusione che qualche razza possa passare, anche un solo secolo, senza essere inquinata da qualche “tendenza”, figuriamoci cosa è successo a quelle con storia millenaria. Ma dove il guasto è stato limitato, evitiamo di continuare con arditi e fumosi progetti che non aiutano alla conservazione. Diverse razze allevate al sud, come la Pugliese, la Modicana, altre sull’arco alpino vedi la Grigia, la Rendena, le Valdostane … sono molto più interessanti di quanto si creda, non vanno confrontate con le regine della fertile pianura e del modello intensivo, ma vanno preservate evitando di inquinarle o peggio estinguerle per sempre. Vanno conservate nella loro integralità e non solo nel nome: risparmio, per evitare inutile polemiche, di citare razze importantissime che sono sopravvissute solo sulla carta, ma poi nella sostanza non è rimasto proprio niente dell’originale patrimonio genetico, per quanto intenso e prolungato è stato l’incrocio di sostituzione, più o meno ufficializzato.
Quindi andrebbero evitati:
• incroci con razze  dette “miglioratrici”, metodo molto diffuso sotto varie forme: in modo ufficiale, ufficioso o peggio clandestino, ma a molti noto e accettato;
• cambi di indirizzo selettivo dettati da situazioni momentanee, altro fenomeno largamente diffuso nell’ultimo secolo appena trascorso;
• impoverimento della variabilità genetica attraverso una massiccia utilizzazione della fecondazione artificiale, magari con pochi tori che piacciono al momento e che vengono da selezioni che ricalcano modelli non assolutamente estensibili a questi  differenti sistemi di allevamento.

Concludendo, speriamo che quel poco di buono che non si è perso nell’ultimo secolo non venga definitivamente disperso per un errore di valutazione e che le razze a più attitudini siano conservate come tali, anche per allargare l’offerta disponibile sul mercato.  Non dimentichiamo che realtà come quelle agrituristiche, non molto tempo fa sembravano improponibili, oggi sono anche troppo diffuse e in questi contesti le razze a più attitudini, per la loro versatilità e polivalenza, si dimostrano ideali più di qualunque altra razza specializzata. Anche la specializzazione spinta, esasperata, che caratterizza alcune razze, sta mostrando tutti i suoi limiti e il rovescio della medaglia non ha un bell’aspetto. Il poter disporre di razze più equilibrate, da utilizzare in adeguati e controllati piani di accoppiamento, può rappresentare una soluzione per affrontare queste problematiche. 

Manza di razza Rendena
Manza di razza Rendena al pascolo (foto http://turismo.agraria.org)

Mario Giannone è laureato in Scienze Agrarie all’Università di Firenze. Insegnante di zootecnia all’Istituto Tecnico Agrario di Firenze, presta la sua opera di assistenza tecnica specialistica presso Enti regionali, Parchi e Associazioni. E’ autore del libro “L’allevamento biologico del suino” edito da Edagricole-Sole 24 ore. Curriculum vitae >>>

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