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di Paolo Pecchioli

Le piante si presentano ai nostri occhi nelle forme più differenti ma poche posseggono le peculiarità e il fascino delle piante grasse, sculture viventi dalle forme bizzarre e suggestive, monumenti alla vita e alla resistenza che simboleggiano l’incredibile forza della natura nelle zone aride e dimenticate dall’uomo. Le piante grasse, per il fatto di vivere in zone aride e semidesertiche,  costituiscono l’esempio più interessante dell’ adattamento della natura alle condizioni climatiche estreme.
Le variazioni climatiche hanno provocato la desertificazione di varie zone del pianeta, un tempo rigogliose, e l’inaridimento di altre. La scarsità di piogge e le temperature elevate hanno selezionato fortemente la vegetazione presente in questi luoghi, e le piante che hanno resistito si sono trasformate nel corso dei millenni in piante “altamente specializzate” nella sopravvivenza.
Comunque, in realtà, l’habitat delle piante grasse non può essere circoscritto alle sole zone aride e semidesertiche del pianeta, perchè ce ne sono alcune che provengono da zone umide come le foreste del Brasile, ad esempio la Schlumbergera truncata (una volta chiamata Zygocactus) o gli Epiphillum. Queste piante richiedono condizioni ambientali (luce, acqua, substrato) nemmeno paragonabili a quelli richiesti dalle piante che nascono nei luoghi aridi.
Il termine “pianta grassa”, pur essendo del tutto improprio dal punto di vista botanico, è di uso comune per  indicare tutte le piante che accumulano acqua nei loro tessuti. In realtà la denominazione corretta fa riferimento alle famiglie botaniche d’appartenenza, tra le quali troviamo Cactacee, Crassulacee, Euforbiacee ecc; per comodità di esposizione continueremo ad usare il termine anzidetto.

Echinopsis eyriesii
Echinopsis eyriesii (foto Paolo Pecchioli)

Le indicazioni che daremo sulla coltivazione saranno tutte riferite alle piante che si sviluppano nelle zone aride e semidesertiche; ci saranno comunque delle precisazioni rivolte alle piante grasse che si sviluppano nelle foreste e nelle zone umide del mondo.
Prima di addentrarci nelle tecniche di coltivazione è utile qualche nozione fondamentale per conoscere meglio questi vegetali. Possiamo subito notare che le piante grasse sono costituite principalmente da un tessuto capace di trattenere acqua; questo tessuto può trovarsi nel fusto, nel qual caso le piante assumeranno un aspetto colonnare, come nei Cleistocactus, o globoso, come negli Echinocactus, o può trovarsi nelle foglie, le quali si presentano grosse, carnose come sono le foglie di una Crassula arborescens. In alcuni casi delle piante immagazzinano acqua nelle loro radici.
Le spine sono quasi sempre presenti in questo genere di piante. Possono essere robuste e pungenti, oppure setolose o pelose. Nelle Cactacee le spine sono divise in due gruppi, centrali e radiali; le prime spuntano al centro di una piccola protuberanza, tipica di questa famiglia, detta areola; le seconde ai bordi. Le prime sono più lunghe e più robuste delle altre.
Le spine non sono altro che foglie trasformate; questa trasformazione serve per ridurre la traspirazione e la conseguente perdita di liquidi. Le spine hanno una funzione difensiva, ma non verso possibili predatori, bensì verso i raggi solari.
Infatti la presenza di spine molto fitte o di peli, che spesso sono di colori chiari, nascondono il fusto sia nostri occhi sia ai raggi del sole; questo schermo protettivo limita il surriscaldamento del fusto e la perdita di liquidi con la traspirazione. Quest’ultima consiste nell’eliminazione di liquidi attraverso delle aperture, dette stomi, presenti nelle foglie, o nel caso di piante grasse sul fusto. Evitare la perdita d’acqua è per le piante grasse una  questione vitale.
Substrato, acqua, luce
Come tutti i vegetali, le piante grasse hanno bisogno di un substrato con determinate caratteristiche, di irrigazioni in determinati periodi dell’anno e di una esposizione alla luce sia in estate che in inverno. L’ambiente dal quale le radici traggono nutrimento e al quale si ancorano può essere costituito da un substrato inerte o da un terriccio. Il substrato migliore è quello formato da argilla mista a sabbia. La sabbia deve essere di fiume (perchè priva di particelle saline) e viene aggiunta all’argilla per aumentarne il volume d’aria.
La sabbia è formata da particelle grossolane tra le quali l’acqua scivola via. L’argilla è una terra compatta, pesante, ad alto grado di plasticità, a grana finissima dove l’acqua filtra con difficoltà. L’aggiunta di sabbia è essenziale per un buon drenaggio e dunque per evitare ristagni d’acqua. Un terriccio formato da foglie, rametti e erbe decomposte è sì permeabile all’aria e all’acqua, ma trattiene acqua fino a due volte il suo peso. E dal momento che la nostra pianta grassa proviene da luoghi dove la sostanza organica è scarsissima, ed essendo “programmata” per trattenere acqua nei propri tessuti,  non ha bisogno di avere un’altra riserva d’acqua nel vaso. Anzi, questa potrebbe essere fonte di marciumi radicali che porterebbero la pianta rapidamente alla morte.
Quando acquistiamo una pianta grassa spesso troviamo questo tipo di terriccio ad alto potere assorbente (può anche essere torba o sfagno);  per ovviare a questo inconveniente dobbiamo ridurre le somministrazioni d’acqua e travasare le piante in contenitori di terracotta che, essendo porosi, facilitano gli scambi gassosi con l’esterno. Questi terricci sono invece indicati per quelle piante grasse che provengono da foreste e luoghi umidi.
L’acqua è l’elemento fondamentale per la vita di qualsiasi essere vivente, dunque, anche per le piante grasse. Esse, però, riescono a vivere e prosperare con una quantità  d’acqua ricevuta soltanto in determinate stagioni. Anche per le piante grasse che coltiviamo sul terrazzo o nel giardino le innaffiature devono essere concentrate in un particolare periodo dell’anno, quello primaverile-estivo, e devono essere interrotte da ottobre fino a marzo. Le innaffiature primaverili devono avere una frequenza di una volta ogni dieci-quindici giorni, e non devono essere molto abbondanti. Le innaffiature estive possono essere abbondanti e succedersi ogni cinque giorni. Il motivo di questa differenza è legato all’andamento climatico primaverile; solitamente le primavere hanno un clima piuttosto fresco e dunque le piante grasse avranno un minore fabbisogno d’acqua. Possono però presentarsi primavere calde o addirittura torride nelle quali il dispendio idrico da parte della pianta sarà ovviamente maggiore.
In questi casi le innaffiature saranno più abbondanti e avranno un intervallo di tempo più breve. Sia in primavera che in estate è sempre buona norma aspettare che il substrato si asciughi tra una innaffiatura e l’altra. Addirittura si consiglia di proteggere dalla pioggia alcune varietà di Ferocactus (pianta delle regioni aride del Messico e del sud della California), quando in estate sono all’aperto, per proteggerle da un eccesso di umidità.
Le innaffiature devono essere fatte nella prima mattinata o nel tardo pomeriggio, con acqua a temperatura ambiente.
In estate, le piante grasse originarie delle foreste avranno bisogno di un terriccio  umido e di essere bagnate sui fusti e sulle foglie. In inverno è sufficiente una innaffiatura con cadenza mensile.
Da tutto ciò si evince che la somministrazione d’acqua alle piante grasse è un’operazione delicata che richiede un pò d’esperienza.
Ultimo elemento necessario per la vita e lo sviluppo di una pianta è la luce. A questo proposito possiamo notare una differenza tra la qualità della luce dell’estate e quella dell’inverno. Nella stagione fredda, le piante grasse devono essere ricoverate in ambiente protetto (casa, veranda, serra ecc.) e sempre vicino ad una fonte di luce (finestra, porta a vetri): la luce sarà “filtrata” e dunque non ci sarà illuminazione diretta. Nell’estate le piante saranno collocate nel giardino o sul davanzale dove non ci sono problemi di luce, ma l’epidermide delle piante sarà raggiunta da raggi solari diretti e molto caldi.
Dunque il momento più difficile per le piante grasse ospitate in ambienti riparati durante l’inverno sarà il passaggio dalla stagione fredda a quella primaverile-estiva. Esporre le nostre piante subito a raggi solari troppo caldi e diretti può provocare delle scottature, le quali non sono altro che delle macchie necrotiche (zone superficiali dell’epidermide dove il tessuto è morto) che si presentano sui tessuti in corso di sviluppo. La pianta reagisce producendo nuovi tessuti. Purtroppo queste cicatrici permangono, così la pianta avrà un aspetto estetico assai scadente, anche se all’interno del vegetale le funzioni vitali rimarranno inalterate.
Per superare questo inconveniente si può agire in vari modi:
1) in aprile le piante possono essere portate all’aperto e riparate sotto alberi a chioma alta in modo tale che le piante siano esposte ad una mezz’ombra e dopo qualche settimana potranno essere collocate in pieno sole senza nessun problema.
2) in febbraio-marzo le piante possono essere portate all’aperto nelle ore più calde della giornata. In quei mesi il sole, anche nelle ore più calde, non è dannoso l’epidermide delle piante e dunque le piante grasse potranno essere messe anche in pieno sole senza bisogno di alberi o reti ombreggianti. In questo modo l’epidermide delle piante sarà già preparato all’arrivo di raggi solari più caldi e luminosi dei mesi successivi.
Ricordiamoci sempre che tutte le sere di febbraio-marzo le piante dovranno essere ricoverate in un ambiente protetto perché la notte la temperatura scende sempre di diversi gradi e non sono rare le gelate, che non sono gradite dalle nostre piante.
La qualità della luce è un elemento fondamentale anche per quelle piante che provengono da foreste e luoghi umidi; esse avranno bisogno di luce indiretta per tutto il corso della stagione calda: ad  esempio una Schlumbergera andrà posizionata sotto la chioma di un albero, riparata dai raggi diretti del sole oppure sotto una tenda.

Le fisiopatie
Abbiamo descritto gli elementi indispensabili per la vita di qualsiasi vegetale. Dobbiamo a questo punto descrivere gli effetti della loro carenza o del loro eccesso ovvero quelli che con un termine tecnico si indicano come le fisiopatie.

Pachyceraus pringlei
Pachyceraus pringlei bruciata dal freddo (foto Paolo Pecchioli)

Le fisiopatie non sono altro che le alterazioni che subiscono le piante costrette a vivere in un ambiente non idoneo per le loro caratteristiche fisiologiche. Esse, dunque, non sono provocate da funghi o da insetti. Ad esempio, una anormale composizione del terreno, chimica o fisica che sia, può portare a fenomeni di rachitismo. In questo caso le piante non riescono a svilupparsi compiutamente perché non possono assorbire gli elementi nutritivi presenti nel substrato. Questa situazione, se protratta per lungo tempo, può portare alla morte la pianta.
L’eccesso d’acqua per una pianta grassa è la principale causa di morte in ambiente domestico. La gran parte delle piante grasse, se coltivate in un substrato ricco d’acqua presenteranno un apparato radicale in putrefazione e moriranno in tempi assai brevi. Al contrario, la carenza d’acqua non può portare le piante grasse alla morte, essendo capaci di resistere a lunghi periodi di siccità (anche in estate). Se la mancanza d’acqua si dovesse protrarre per molti mesi in estate, dopo che le piante grasse sono state all’asciutto per tutto l’inverno, potremo vedere i primi segni di debolezza: il fusto comincerà ad essere molle al tatto, perché l’acqua contenuta nei tessuti di riserva sarà esaurita, le parti verdi possono andare incontro a decolorazioni e la pianta avrà un aspetto sofferente.
La scarsità o mancanza d’illuminazione è un altro fenomeno che si verifica nelle piante coltivate in casa. Esse in questo caso presentano il fusto allungato ed esile, ed assumono una colorazione verde chiaro o biancastra.
Il freddo è un altra fisiopatia che può colpire le piante grasse ma, contrariamente a quanto si possa pensare, non tutte le piante grasse hanno la stessa scarsa resistenza al freddo. Per esempio l’Oreocereus, pianta tipica delle montagne boliviane, sopporta bene anche le basse temperature, a condizione di essere in un ambiente asciutto; l’Echinocactus grusoni sopporta temperature che arrivano allo zero. Al contrario, per il Lemaireocereus la temperatura non deve mai scendere sotto gli 8°C. Quando il freddo colpisce le piante grasse, esse presentano le parti verdi imbrunite come se fossero state ustionate con dell’acqua bollente, e le parti legnose con spacchi evidenti. Il congelamento di alcune parti della pianta può portare allo sviluppo di marciumi e rapidamente alla morte della pianta stessa.

Ferocactus eymorii
Ferocactus eymorii con danni da freddo (foto Paolo Pecchioli)

Bibliografia consigliata
Andrea Cattabriga “Piante grasse – The little golden book “ Ed. Cybele
Eraldo Susini “I miei fiori, il mio giardino” Edagricole Bologna

Paolo Pecchioli, Agrotecnico, è in possesso del diploma di qualifica di orto-floricoltore. Attualmente ricopre la mansione di Assistente tecnico presso l’Istituto Tecnico Agrario di Firenze.


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